EU-Turkey relations 2025

 

Settembre riferendo al PE su Gaza l’AR Kallas prende atto per l’ennesima volta che l’azione dell’UE è impedita, al contrario di quanto accaduto per l’Ucraina, dalla mancanza di unità tra gli Stati membri.

Un attacco israeliano su Doha per colpire i negoziatori di Hamas provoca la flebile reazione UE ma soprattutto quella degli stati arabi che denunciano la “a flagrant violation not only of Qatari sovereignty but of the collective security architecture that binds the Gulf Cooperation Council together”. Per rispondere all’attacco israeliano il Qatar indice una riunione tra gli stati della regione. Il principe qatariota Turki Al Faisal, vorrebbe, chiamando in causa Washington, che dalla conferenza escano “specific actions that punish Israel for its heinous and genocidal actions in Gaza and also for its deliberately treacherous attack on Qatar. Economic and diplomatic sanctions should be declared against Israel. And they must remind the US of its responsibility in allowing Israel to continue its foolishness”. Da parte sua l’Egitto propone la nascita di una forza araba simile alla Nato. Dopo aver temuto il possibile nucleare iraniano Israele si ritrova a fare i conti con il reale nucleare Pakistan che firma un accordo di mutua difesa con l’Arabia Saudita. Gli analisti più critici ritengono che col bombardamento Israele abbia voluto chiudere al negoziato avendo come scopo la pulizia etnica di Gaza. Ritengono anche che Riyadh e Abu Dhabi “have chosen the most humiliating course in international politics: collaboration with an apartheid”. In Europa intanto, a dispetto delle istituzioni, si susseguono le proteste contro il genocidio e cresce il sostegno alla missione umanitaria della Global Sumud Flotilla in navigazione verso Gaza dove arrivano gli echi delle grandi manifestazioni italiane.

Il PE approva una risoluzione - P10_TA(2025)0199 - su Gaza in cui si condanna il blocco totale all’ingresso degli aiuti umanitari chiedendo la riapertura di tutti i valichi di frontiera. Si invita Israele a ripristinare con urgenza il mandato e i finanziamenti dell’Unrwa. Dopo pochi giorni la Commissione europea propone una revisione parziale degli accordi di partenariato. La proposta prevede la sospensione parziale dell’accordo commerciale Ue-Israele; sanzioni contro  ministri, coloni israeliani ed esponenti di Hamas; sospensione di alcuni fondi europei destinati a Israele. Nei fatti, solo quest’ultima misura può essere immediatamente operativa, perché rientra nei poteri diretti della Commissione. Le altre misure richiedono invece un voto a maggioranza qualificata del Consiglio. Le sanzioni UE ancora una volta sono “fumo negli occhi perché […] l’Europa teme le ritorsioni di Donald Trump […] per sanzionare davvero Israele bisognerebbe sanzionare l’intero complesso militar-industriale-finanziario israelo-americano e gran parte di quello europeo” così come individuato nel rapporto ONU di Francesca Albanese. Tra gli stati europei solo la Spagna si spinge verso quella direzione varando un embargo alle esportazioni di armi, transito di carburanti e import di beni dai territori occupati. Se l’esempio fosse seguito da altri Stati membri rischierebbe di mettere in crisi effettivamente le esportazioni israeliane di armi e di conseguenza tutta l’economia. Intanto l’ONU dichiara ufficialmente che a Gaza è in corso un genocidio. Gli Stati sono quindi obbligati ad adottare tutte le misure per prevenirlo, chi non lo farà potrà essere soggetto ad indagini, e procedimenti giudiziari, da parte della Cpi. Nonostante questo gli USA pongono il veto ad un cessate il fuoco. 

All'80ª Assemblea generale delle Nazioni Unite la comunità politica internazionale, l’occidente in primis, appare più divisa che mai. “Nel suo avvilente discorso […] Trump trasforma gli Stati Uniti in un ulteriore problema, non in una soluzione del grande disordine mondiale”. Al momento del riconoscimento di uno stato di Palestina l’Europa non è compatta. Il presidente UE Costa nel suo discorso ribadisce la piena difesa di un ordine internazionale che non esiste più. Per ciò che riguarda la Palestina copia e incolla quanto già detto nella conferenza, promossa da  Francia e Arabia Saudita, sulla soluzione dei due Stati. Da parte sua, nella stessa occasione, l’AR Kallas rimanda ancora, ad ottobre, ogni passo concreto sulle sanzioni ad Israele. Al Consiglio di sicurezza ribadisce che l’UE è il maggiore donatore umanitario, che le negoziazioni con Tel Aviv hanno permesso l’ingresso di un po’ di aiuti e che la soluzione a due stati è l’unica praticabile. Per alcuni analisti rivitalizzataproprio dall’intransigenza di Netanyahu e dall’errore di colpire il Qatar. Altri, più realisticamente, notano che prima di questo voto all’ONU la maggioranza dei paesi del mondo aveva già riconosciuto lo Stato di Palestina e che gli altri hanno atteso due anni e più di 60.000 morti per dare il loro riconoscimento. “So how does it make sense to talk about a Palestinian state? Who, or what, would such a state serve? […] what is clear is that Palestinian rights are not a priority” quanto invece, fin dagli accordi di Oslo, la sicurezza di Israele. Questa diplomazia “of the lazy: expensive in rhetoric, cheap in action”, a detta anche di commentatori israeliani, farà sì che il piano Trump per la pace, non potrà funzionare. Se la proposta verrà accettata da Hamas, si tornerà ad un mandato coloniale guidato da Blair e sotto il controllo di un club di magnati immobiliari e miliardari quali sono Trump, il redattore del piano Witkoff e il suo assistente Barrack (ambasciatore USA ad Ankara).

A sessant’anni dall’ultima partecipazione di un rappresentante di Damasco il presidente siriano al-Sharaa interviene all’ONU chiedendo la revoca totale delle sanzioni (dall’UE in parte già tolte). Voci di corridoio informano che con Israele è avviata una trattativa per porre fine alle tensioni. La promessa di Qatar e Arabia Saudita di destinare 89 milioni di dollari, attraverso l’ONU, al mantenimento dei servizi pubblici siriani segna un passaggio importante. Le due potenze rivali si presentano come parti necessarie alla ricostruzione aumentando “una realtà frammentata, alimentata da capitali del Golfo, benedizioni americane ed europee, infiltrazioni jihadiste” e presenza turca e israeliana.

Le relazioni turco-israeliane sono ai minimi storici. Dopo il vertice di Doha Netanyahu, ribadisce, alla faccia del “Signor Erdoğan”, la sovranità israeliana su Gerusalemme. Le dure risposte del presidente turco, oltre a confermare alla sua base elettorale il peso della Turchia nella regione, riflettono una lotta più profonda che coinvolge le rivalità energetiche nel Mediterraneo e le alleanze regionali. Eppure se si ignora la richiesta di pace che viene dal cittadino di Istanbul o da quello di Tel Aviv o da quello di Gaza la politica si trasforma in potere fine a sé stesso. Alzare i toni contro il nemico è prassi comune per un giro di vite nelle libertà democratiche. Vale per la Turchia come per Israele, per gli USA di Trump come per l’Italia di Meloni e Piantedosi. Il potere giudiziario continua l’attacco ai leader del CHP sia a livello nazionale che locale. La messa in mora definitiva del CHP però potrebbe avere conseguenze devastanti sulla democrazia e sull’economia. “The calculations to ‘discipline’ the CHP through court decisions extend to whether ‘free elections’ will remain part of Türkiye’s future”. Al momento della prima sentenza a migliaia scendono in piazza a difesa della dirigenza del CHP. La risposta del governo è affidata a lacrimogeni, botte, arresti e incursione nella sede del partito. Dopo pochi giorni Il tribunale rinvia ad ottobre l'udienza per dichiarare "assolutamente nullo e non avvenuto" il congresso del CHP del 2023. Il rinvio potrebbe essere stato ottenuto anche dalla forza delle proteste della folla in attesa della sentenza “thirsty for active struggle against Erdoğan and the AK Party government”. È probabile anche che all’interno dell'AKP si tema che una sentenza di "nullità assoluta" potrebbe ritorcersi contro. Il congresso straordinario indetto dal CHP rielegge Özel alla testa del partito. 

Il clima creato dai procedimenti contro il CHP ha conseguenze anche sul processo di pace avviato col PKK. Nella Commissione incaricata di guidare il processo di pace vengono invitate a parlare esponenti della società civile appartenenti ad organizzazioni note per le violenze nei confronti di donne, gruppi religiosi diversi e minoranze. Commentatori notano che l'aggettivo "civile" da solo non significa "buono" o "democratico" e che inclusività non significa "invitare tutti" se l'obiettivo dell'inclusione è una pace che non sia solo il silenzio delle armi ma un progetto di uguaglianza e convivenza. Dal canto suo, come previsto, Erdoğan chiede, minacciando un intervento militare, anche lo scioglimento delle forze curde siriane.  L’attacco al CHP è un attacco alla democrazia e come tale viene percepito da parte della popolazione. L’UE si chiede cosa fare con Erdoğan “toujours plus indispensable et toujours plus insupportable”. Per ora si accontenta del ruolo di guardiano dei rifugiati. Nella nona relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia - COM(2025) 517 – si nota che lo sfollamento protratto dei rifugiati siriani e il crescente numero di arrivi dall'Afghanistan mettono sempre più in difficoltà la coesione sociale turca. Ci si preoccupa del fatto che, mentre gli arrivi in Italia e a Cipro siano diminuiti, quelli in Grecia e in Bulgaria, sono invece aumentati. Ma soprattutto si sottolinea, che dal 2020 non sono più stati fatti rinvii sul suolo turco “nonostante le reiterate richieste della Commissione e delle autorità elleniche”. Si è soddisfatti della simmetria tra il ritmo con cui gli Stati membri versano i contributi allo strumento e il ritmo degli esborsi finanziati con tali contributi. La valutazione finale, dovrebbe essere completata alla fine del 2025 segnando la conclusione dello strumento.

Luglio- agosto viene pubblicato il 2025 Rule of Law Report: the importance of the rule of law for Europe’s democracy, security and economy – Com(2025)900 (con annessi documenti SWD). Si conferma che la nuova generazione di strumenti di spesa dell'UE garantirà che il rispetto del principio dello Stato di diritto rimanga un requisito imprescindibile per i fondi UE. 

Riferendo al PE Il presidente Costa delinea le priorità dei primi sette mesi del mandato: difesa, competitività, ruolo dell'Europa nel mondo. Per quanto riguarda la difesa Costa conferma che non si parla “di un esercito europeo [ma] di beni comuni gestiti dai nostri eserciti nazionali, secondo un piano comune”. La difesa, insieme alla transizione energetica, sarà uno dei “principali motori” della competitività europea e su di essa potranno essere dirottati i fondi della nuova politica di coesione. Per rafforzare la sua posizione nel mondo l’UE deve continuare nella sua politica di accordi commerciali i quali permetteranno anche di esportare le norme europee rafforzando di conseguenza il ruolo dell'Europa nel nuovo mondo geo-economico. Poi però l’UE affronta “i negoziati con Trump non come la potenza economica e politica globale che è, ma piuttosto come un partner subordinato”. Costa, continuando, precisa che “l'ordine basato su regole ha bisogno di difensori credibili che lo difendano in modo coerente — senza applicare due pesi e due misure — che si tratti dell'Ucraina, del Medio Oriente o di qualsiasi altro luogo”. Anche qui i fatti contraddicono le parole. Nonostante il Documento ristretto 10499/25 di giugno riguardante l’accordo di associazione UE-Israele evidenzi le violazioni dei diritti umani da parte di Tel Aviv, le divisioni interne non permettono all’UE azioni sanzionatorie compromettendone la credibilità come attore globale. Le comunicazioni UE al Consiglio di sicurezza ONU su Gaza sul Medio Oriente sono il frutto di questa impasse, sono la summa dell’inutilità. Si esortano le parti coinvolte nel conflitto Israele-Iran a rispettare il diritto internazionale, quando è Israele che non lo ha rispettato attaccando (ultimo dei tanti) uno stato sovrano. Per ciò che riguarda Gaza nonostante la dichiarazione dei ministri degli esteri di mezzo mondo e del successivo appello di 58 ex ambasciatori UE si ha il coraggio di affermare che a seguito del dialogo avviato dall’AR Kallas si sono prodotti “alcuni miglioramenti”. Parole inutili al contrario del rapporto sui “meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano di sfollamento e sostituzione dei palestinesi nei territori occupati” della relatrice ONU Francesca Albanese che infatti, chiamando per nome e cognome le “companies that have not only allowed Israel to sustain its war and genocide against Palestinians, but also confronts those who have remained silent in the face of this unfolding horror”, viene colpita dalle sanzioni USA. Trump nega anche il visto d’ingresso ai membri dell’AP e dell’OLP che devono partecipare all’Assemblea generale ONU di settembre. Il rigetto di questo divieto, che è in contrasto con gli accordi esistenti tra l'ONU e lo Stato ospitante, è l’unico punto su cui il Consiglio informale di fine mese raggiunge un accordo (oltre alle sanzioni all’Iran). Per il resto nessun passo concreto e soprattutto nessuna discussione sui metodi di lavoro di cui si aveva “desperately needed”.

Netanyahu superando “l’inarrivabile cortigianeria del segretario Nato Mark Rutte” candida Trump al Nobel per la pace mentre continua a darsi da fare: consegna Gaza a bande islamiche ai suoi servizi,  progetta un enorme ghetto per i gazawi (The leader of the Jewish Combat Organization during the Warsaw Ghetto Uprising would have died of shame and disgrace at hearing the defense minister's plans – with the full backing of the prime minister – to erect a "humanitarian city" in the southern Gaza Strip) senza preoccuparsi di ferire “l’identità del popolo ebraico”. Per raggiungere i suoi scopi spacca i vertici dell’esercito, mette in crisi l’economiasalvata dal “torrent of US funding pouring in to help Israel sustain both its economy and the genocide in Gaza”. La società israeliana è così profondamente divisa che di fronte alle aggressioni da parte dei “settler terrorists” in Cisgiordania c’è chi pensa che anche i palestinesi abbiano il diritto di difendersi. L’ennesima dichiarazione UE sulla decisione delle autorità israeliane di portare avanti il ​​piano di insediamento E1 (che interromperà la contiguità geografica e territoriale della Cisgiordania) ci informa del vuoto che la fine della soluzione a due stati lascerebbe nella politica europea. La narrativa israeliana non ha bisogno di testimoni, con un omicidio mirato vengono uccisi altri 5 giornalisti.

L’anniversario del genocidio di Srebrenica (Costa ci tiene a sottolineare che “There is no room in Europe – or anywhere else – for genocide denial, revisionism or the glorification of those responsible”), ci riporta nei Balcani dove le riforme necessarie per avere i finanziamenti legati al Growth Plan for the Western Balkans faticano a decollare. La Commissaria Kos nel suo intervento al summit di Skopje sottolinea che il consenso raggiunto per un ulteriore allargamento potrebbe non durare per sempre. Alla Bosnia, che non ha inviato nei tempi previsti la relazione sui programmi di riforma viene tagliato del 10% l’ammontare dei finanziamenti. Il Parlamento bosniaco è paralizzato Dodik ex membro della presidenza bosniaca, è condannato da un tribunale penale. In Serbia e in Kosovo le cose non vanno meglio. Nella regione si vanno creando i presupporti per un’ulteriore spazio all’influenza della  Russia e della Turchia che lancia la sua Balkan Peace Platform.

Ad inizio luglio Ankara ospita il Türkiye–EU High-Level Dialogues on Trade, Migration and Security. Nell’incontro oltre alla risoluzione di alcune impasse commerciali si discute anche del processo di liberalizzazione dei visti. Si parla anche di Siria ribadendo che la cooperazione Turchia-UE è di grande importanza per rafforzare la stabilità del paese così da aprire la strada al ritorno “volontario” dei siriani rifugiati sul suolo turco sempre. Quando il ministro degli esteri Fidan ribadisce l’impegno della Turchia verso l’adesione, “basata esclusivamente sul merito e su criteri oggettivi”, si propone come partner ineludibile in un contesto internazionale in cui però, come molte volte accaduto, Ankara si trova su posizioni opposte  a quelle europee (senza contare le tensioni permanenti con la Grecia e con Cipro).  Se si pensa all’accordo siglato tra Siria e Azerbaijan è evidente che questo, a seguito dell’indebolimento iraniano, è un passo verso la ristrutturazione degli equilibri di potere in Medio Oriente. Poiché l’accordo prevede attività in due giacimenti nella Siria nord-orientale sotto il controllo delle Forze Democratiche Siriane “l'impegno indiretto con le autorità curde crea spazio per gestire potenziali tensioni”. Dietro le quinte Ankara è un efficace regolatore anche dei gasdotti collegati a Israele. Erdoğan vede nell’hub del gas turco non solo un affare economico, ma uno strumento geopolitico. Però mantenere un “mercato flessibile, in cui il gas possa essere miscelato e rivenduto senza controlli intrusivi sull’origine” è in contrasto  con l’intenzione dell’UE di  instaurare un regime di tracciamento al fine di azzerare gli acquisti di gas russo. In Siria invece l’UE si limita condannare gli scontri tra le comunità etnico-religiose e, genericamente, qualsiasi presenza militare straniera unilaterale. A chi si riferisce? A Israele che incoraggia alleanze tra gruppi minoritari per evitare la formazione “di entità politiche multiconfessionali coese e forti, capaci di offrire un modello di governo inclusivo al di là delle appartenenze comunitarie”? o alla Turchia che ha firmato un accordo di cooperazione sulla sicurezza con Damasco e che permette al governo siriano di rimestare “nel torbido delle rivalità tra pianura e altura, tra pastorizia e agricoltura, tra nomadi e sedentari, tra sunniti e drusi”? Di fronte alla piega che stanno prendendo i rapporti tra Tel Aviv e Ankara i curdi siriani hanno un motivo in più per non fidarsi al-Shara. La conferma viene dalle reazioni alla conferenza dell’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell'Est (DAANES) ad Hasakah di agosto. Indetta per presentare una posizione negoziale unitaria con il governo è stata accolta con una dura condanna da Damasco che l’accusa di minacciare l’integrità territoriale della Siria.

I curdi di Turchia dal canto loro potranno fidarsi del processo “Pace e società democratica”? Il comitato ad hoc, che riunisce i rappresentanti dei partiti politici presenti nel parlamento, viene costituito mentre i leader dei partiti dell’opposizione sono stati (o rischiano di essere) incarcerati e l’ondata di  arresti (dai 55.000 detenuti del 2001 si è passati ai 410.000 di oggi) scatenata da Erdoğan colpisce “du plus anonyme fonctionnaire municipal jusqu’aux maires des plus grandes villes de Turquie”. Ad una delle prime riunioni viene impedito di parlare in curdo.  Dopo aver speso circa 60 miliardi di dollari la Banca centrale turca decide di  abbandonare il sistema di protezione della moneta nazionale. Sullo sfondo dell’inflazione e della svalutazione della moneta si inserisce il pauroso aumento del costo degli affitti che nelle grandi città sono aumentati, in euro, in media oltre il 70% in meno di quattro anni. Sulla carta la legge tutela gli inquilini ma il principio di necessità personale consente ai proprietari di recedere dal contratto prima della scadenza. Sui social sono presenti diversi video di violenti scontri tra proprietari e inquilini. L’arresto dell'avvocato Epozdemir, personaggio di alto profilo amico di giudici e procuratori, con l’accusa di favoreggiamento della corruzione scatena un'aspra controversia all'interno del mondo legato al partito di governo. Ex deputati dell’AKP, giornalisti vicini al governo e avvocati si spendono in difesa di Epozdemir. Secondo alcuni le iniziative dell'avvocato potrebbero aver scosso la gerarchia che genera e gestisce i flussi di denaro sporco. Il rifiuto da parte dell’avvocato di sbloccare il suo cellulare fa pensare che potrebbero essere implicate figure di spicco. Anche Özel, presidente del CHP, rivela che un altro avvocato, ex membro del partito di Erdogan, ha chiesto 2 milioni di dollari come tangente per liberare un uomo d'affari incarcerato. Ottimisticamente gli oppositori di Erdoğan pensano che la crisi economica e morale stia causando il crollo del regime causando lotte interne.

 

Giugno il Consiglio definisce – 10491/25 - le priorità dell'UE da presentare alla 80ª assemblea generale ONU di settembre: sostenere un sistema multilaterale basato sul diritto internazionale, promuovere lo sviluppo sostenibile, affrontare lecrisi ambientali e del cambiamento climatico. Ribadisce che l’UE è determinata a rimanere un partner prevedibile, affidabile e credibile.

Al Consiglio europeo però nulla di tutto ciò. Dopo le divisioni al vertice Nato, gli europei “si sono spaccati su quasi tutto, dall’Ucraina a Gaza e dalla difesa ai dazi”. Nelle conclusioni – EUCO 12/25 - per quanto riguarda il Medio oriente i leader chiedono (un cessate il fuoco immediato a Gaza) e deplorano (la drammatica situazione umanitaria) ma non fanno nessun passo concreto. Il Consiglio prende atto “della relazione concernente il rispetto da parte di Israele dell'articolo 2 dell'accordo di associazione [e invita] a portare avanti le discussioni in merito al seguito da darvi, se del caso, nel luglio 2025, tenendo conto dell'evoluzione della situazione sul campo”. Il silenzio dell’UE ha spinto alcuni a considerarla complice “in war crimes, crimes against humanity, ethnic cleansing, and even genocide”. Al termine dei lavori Costa preferisce parlare di come garantire all’Unione una posizione forte sulla scena mondiale. Non si parla più di soft power ma di riarmo. Il Consiglio è pronto a negoziare con il PE in merito all'istituzione del programma per l'industria europea della difesa, anche il riesame intermedio della politica di coesione si piega alle esigenze belliche, le modifiche proposte sono mirate  ad “allineare gli investimenti della politica di coesione alle nuove priorità”, tra cui la difesa e la sicurezza. L’interconnessione tra sicurezza ucraina ed europea si esplicita anche nella proroga del regime di protezione temporanea ai rifugiati ucraini. 

Nessuna condanna anche per l’attacco Israeliano (e USA) all’Iran, le cui motivazioni ricordano fin troppo le “bugie” antecedenti l’attacco all’Iraq di Saddam. “Gli europei sembrano paralizzati dai cambiamenti che si verificano intorno a loro”. Sono i leader dei paesi confinanti, anche se rivali dell’Iran, a condannare l'attacco come una violazione del diritto internazionale. Gli europei invece dalla “2003 Anglo-American invasion of Iraq […]  have been either directly and openly complicit or stood by and done nothing other than to lecture the world on the need to respect international law”. L’AR Kallas  invita le parti a dar prova di moderazione, fermo restando che l'Iran non deve “mai essere autorizzato ad acquisire armi nucleari”. Al termine della guerra dei 12 giorni, in cui “tutti hanno vinto e tutti hanno perso”, il regime iraniano ne esce rafforzato, sotto le macerie resta quel poco che rimane della credibilità occidentale mentre ancora una volta, la Corea del Nord insegna, “the lesson is becoming impossible to ignore: in the absence of nuclear deterrence, no nation is safe”. Nello studio del PE Transnational repression of human rights defenders: The impacts on civic space and the responsibility of host states - PE 754.475 - nella tabellaThe perpetrators of transnational repression “ (p18) Israele, nonostante i giornalisti e attivisti uccisi a Gaza e censurati in patria, non compare. Eppure presso la sede dell’EEAS, “as part of the activities marking 30 years since the Srebrenica genocide”, l’AR Kallas inaugura la mostra “MEMENTO: Fragments of the Srebrenica Genocide”. Cosa c’è di diverso a Gaza per non usare la parola genocidio? In Europa “is now constructing a revisionist moral alibi?” In Bosnia se ne sta preparando un altro?

Alla Siria, dopo la revoca di tutte le sanzioni economiche, vengono dati €175 milioni a sostegno di quella che si vorrebbe essere una “una transizione pacifica e inclusiva” scevra  da “qualsiasi azione e presenza militare straniera unilaterale”. Quali sono le presenze straniere al momento dopo il ritiro dei Russi? Israele, Turchia e USA (ed europei). Ognuno ha i propri interessi anche territoriali. Tel Aviv ha già occupato le zone adiacenti al Golan, Ankara mantiene una massiccia presenza, attraverso milizie, nella zona di Afrin dove alla popolazione curda rientrata alla caduta di Assad “les groupes armés à la solde d’Ankara y multiplient les exactions, en dépit de la volonté affichée des autorités de Damas de restaurer l’ordre”. Come gli Israeliani anche i turchi non disdegnano di colpire  chi si impegna per la pace. L’unità della Siria (e dell’Iraq), messa a rischio dalla varietà etnica, dipenderà in larga parte dalla riuscita del processo di integrazione dei curdi. I progressi però sono scarsi, gli occidentali sono tiepidi con l’amministrazione del Rojava e il ventilato ritiro delle forze USA rischia di stravolgere  il precario equilibrio

Per alcuni analisti gli europei dovrebbero impegnarsi a gestire la crescente rivalità tra Israele-Turchia aiutando nel contempo Ankara a gestire l'instabilità sul suo fianco orientale (Siria, Iraq e Iran) così che possa dedicare parte delle sue capacità industriali e militari alla collaborazione per la difesa dell'Europa. Le tensioni Israele-Iran hanno forti ripercussioni nella politica interna turca. All’apertura del vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica (ad Istanbul) Fidan dichiara che "Israele sta ora trascinando la regione sull'orlo del disastro totale attaccando l'Iran, il nostro vicino", il ministro della difesa Güler rafforza i presidi alla frontiera per il timore di una migrazione di massa mentre Bahceli pensa che Israele possa affossare il processo di pace curdo-turco. Ma quello che più preoccupa è la minaccia che Israele possa impedire la realizzazione  dell’obiettivo a lungo termine: quello di essere il principale garante di un ordine regionale stabile in cui Ankara si sostituisca all'Occidente come potenza economica e militare.

Il vecchio ordine internazionale non esiste più “this time, the trigger wasn’t a bullet in Sarajevo but a reality TV presidency in Washington” il nuovo ordine non è soggetto di negoziazione ma di lotta “Trump cannot broker what he doesn’t – and probably is not interested in – understanding”. I leader populisti come Netanyahu preferiscono distruggere la casa piuttosto che andarsene, quando è in gioco la sopravvivenza politica “nothing—not Gaza, not Tehran, not global stability-is off-limits”. In questo caos per la Turchia ci sono rischi e opportunità che potrà cogliere nella misura in cui deciderà “how far it’s willing to go on the home front when it comes to political inclusivity”. Si tratta di capire se il governo sia pronto a costruire un contratto sociale che funzioni per tutti i suoi cittadini. 

Non sembra che Erdoğan sia intenzionato a seguire questa strada. Da un lato non si sono intraprese le misure necessarie per dare seguito alla fine della lotta armata del PKK, dall'altro si intensificano gli attacchi contro il principale partito di opposizione e le persone che protestano in piazza. Se il regime definisce le proteste come "rivolta" procede verso un'autocrazia senza elezioni. Poiché tutti indicano la strada per passare dalla guerra alla pace attraverso una commissione nell’Assemblea Nazionale Turca, nessuna persona ragionevole può credere che un CHP (che rappresenta la maggioranza degli elettori) sotto attacco giudiziario sarebbe disposto o in grado di contribuire a tale commissione. E senza la partecipazione della maggioranza elettorale, non può esserci quel processo di pace verso una società democratica di cui parlano i mentori della nuova costituzioneche il presidente vorrebbe.

 

Maggio la Corte dei conti pubblica la relazione "Azione di coesione a favore dei rifugiati in Europa – Maggiore flessibilità, ma dati insufficienti ostacolano una futura valutazione dell'efficacia". Nel documento, che si riferisce per lo più ai rifugiati ucraini, si sottolinea che l'uso della politica di coesione per fronteggiare le crisi rischia di ripercuotersi sulla finalità primaria, quella di rafforzare la coesione tra le regioni europee.

Il presidente Costa incontra i leader di Balcani: il serbo Vučić, il kosovaro Osmani-Sadriu, il montenegrino Milatović, il macedone Mickoski, l’albanese Rama e la presidenza bosniaca. Nella regione le crisi si approfondiscono. A Belgrado da mesi gli studenti protestano contro la corruzione dell’amministrazione. Chiedono che venga pubblicata la documentazione dei lavori di rinnovo cui era stata sottoposta la stazione di Novi Sad dove il crollo della pensilina ha provocato 16 morti. La “stabilitocrazia” così cara all’UE se da un lato permette a Vučić di governare dall’altro erode standard democratici e alternative di governo. In Bosnia siamo alla paralisi istituzionale. Il leader serbo-bosniaco Dodik, fugge all’arresto per aver violato gli accordi di Dayton che ancora governano il paese. Questa crisi spaventa l’UE per via dei legami tra Dodik e Putin. Si teme anche che Trump possa sostenere la secessione serba se il dialogo sull’Ucraina andasse a buon fine. L’allargamento crea problemi anche all’interno dell’UE. L’accesso di uno Stato deve essere deliberato all’unanimità e, per ragioni storiche o per le preoccupazioni in merito al funzionamento delle istituzioni, non tutti i 27 la pensano allo stesso modo. A fine mese anche l’AR Kallas si reca nei Balcani incontrando i leader di KosovoSerbia Macedonia del nord

Partecipando al Forum sugli investimenti USA-Arabia Saudita, Trump ribadisce la centralità dei rapporti economici nella sua visione del futuro del Medio Oriente. Sono gli accordi commerciali che permettono sicurezza e stabilità. Da qui la revoca delle sanzioni a Damasco e la promessa di migliorare le condizioni dei palestinesi e di sostenere la ricostruzione del Libano. I limiti di questo approccio sono evidenti.  All’interno del mondo arabo c’è chi ricorda quanto Trump disprezzi i musulmani e che quello proposto “is not free-market capitalism. This is transactional fealty: Gulf regimes trading national dignity for the personal access and protection from the White House […] This is not passive complicity; it is active collaboration” che serve a mantenere la supremazia della declinante potenza imperiale americana. È quindi un errore presumere che le decisioni di Trump denotino necessariamente contrasti con Netanyahu. Anche se per quest’ultimo l’alleanza con gli USA è vitale gli estremisti al governo, convinti di essere vicini alla nascita del Grande Israele, non si curano delle conseguenze sia morali che politiche delle loro azioni. Alcuni analisti individuano nella politica dei dazi il tallone di Achille della concordia USA-Golfo: una discesa dei prezzi del petrolio potrebbe stravolgere le politiche interne delle petrolmonarchie.  In una dichiarazione congiunta i donatori degli aiuti per Gaza si oppongono al nuovo modello di distribuzione proposto da Israele. Per l’ONU non può funzionare perché collega gli aiuti umanitari all’obiettivo di distruggere il tessuto sociale palestinese. La voce europea giunge flebile e troppo in ritardo e, come in Italia, spesso alle parole corrispondono fatti contrari. La narrazione europea non mette in causa il colonialismo e il genocidio israeliani. “With that silent stipulation, humanitarian aid becomes a discussion not an endeavour. What opposition to its plans is Israel truly facing? None at all”. 

Il consiglio europeo difesa conferma il sostegno all'Ucraina, discute dei piani di riarmo e annuncia che i la forza di rapido dispiegamento è operativa. Per quanto riguarda il Medio Oriente (viene nominato il nuovo rappresentante speciale, il francese Bigot) emerge una maggioranza a favore della revisione dell'articolo 2 dell’accordo di associazione con Israele. Al termine dei lavori l’AR Kallas ci informa che le sanzioni contro i coloni sono state bloccate da uno Stato membro e ad una precisa domanda su quanti siano gli stati favorevoli alla revisione, su quale sia la tempistica e se si tratti di un segnale sufficientemente forte gira intorno e non risponde. Per alcuni commentatori questa impasse burocratica “helps the EU to form any policy that makes it look benevolent, while extending the time for Israel to continue its genocide in Gaza”. Altri rincarando la dose rimarcano il fatto che la revisione è insita nell’accordo stesso ma l'UE non ha mai seriamente dato seguito ai propri obblighi. L’annunciata “review of the EU-Israel AA is thus a performative act void of any substance. There is no concrete consequence for Israel”. L’Europa ha sempre più necessità di affrontare la sua responsabilità come unione politica e comunità culturale in quella che è diventata una profonda ferita nelle coscienze. 

A fine mese il Consiglio adotta il regolamento 2025/0122(NLE) che istituisce SAFE,  lo strumento destinato a sostenere la produzione militare degli Stati membri mediante appalti comuni. SAFE segna un nuovo capitolo nella cooperazione con i paesi terzi. All'Ucraina e ai paesi EFTA-SEE saranno applicate le stesse condizioni degli Stati UE i quali potranno quindi acquistare dalle loro industrie. Ai paesi in via di adesione, ai paesi candidati e potenziali e ai paesi che hanno firmato un partenariato in materia di sicurezza e difesa con l'UE, come il Regno Unito, sarà consentito aderire agli appalti comuni. Alla Siria vengono revocate tutte le sanzioni, tranne quelle basate su motivi di sicurezza.

In Siria nonostante ancora una volta violenti scontri provochino vittime ci sono passi verso la riconciliazione nazionale. Vengono create l'Autorità nazionale per la giustizia di transizione e l'Autorità nazionale per le persone scomparse. Uno dei nodi fondamentali è costituito dalle modalità di integrazione politica e sociale dei curdi. In particolare le modalità della confluenza delle forze armate curde nel nuovo esercito siriano non sono state chiarite nell’accordo firmato a marzo. Le milizie curde vogliono conservare le loro armi ed integrarsi come entità e non come individui. Altro nodo è il ruolo delle donne inquadrate nelle forze curde. Per ora su 23 ministri uno solo è curdo (altri 3 sono cristiani, alawiti e drusi) e non è espressione dei territori controllati dall’amministrazione curda. Anche la revoca delle sanzioni per i curdi si presenta a due facce. Se da un lato può dare il via alla ricostruzione, dall’altro espone al rischio di una colonizzazione da parte turca.  Come successo ad Afrin ed in altri luoghi occupati le città sono state turchizzate. “Turkey is building homes and inviting Arabs to live there, hoping to permanently change the demographics of the once almost 100% Kurdish region”. 

Il 12° congresso del PKK annuncia lo scioglimento del partito aprendo una nuova fase della questione curda. Per ora siamo agli annunci Erdoğan non ha preso impegni limitandosi a generiche dichiarazioni e  non si sa nulla sulle modalità concrete che seguiranno per realizzare l'annuncio del PKK a partire dalla sorte di Öcalan e dei combattenti. Per i curdi la riconciliazione non è qualcosa da rinviare va fatta “in the midst of strife rather than in a post-conflict setting”. La questione spostata sul piano politico dovrà inquadrarsi in un processo di ampliamento della democrazia turca che il limitato coinvolgimento dell'opinione pubblica nel processo potrebbe non favorire. Secondo un sondaggio solo il 10% del pubblico è stato informato del congresso del PKK, il 25% ne ha sentito parlare, il 65% rimane completamente disinformato.  Ciò suggerisce che alla popolazione interessi più l’aggravarsi della crisi economica che il coinvolgimento per l'efficace risoluzione del conflitto. Erdoğan ci mette del suo e con una ennesima virata autoritaria e se da un lato apre ai curdi dall’altro si serve della magistratura e della polizia per colpire il CHP. Il gioco è scoperto il presidente turco colpisce il sindaco di Istanbul non solo perché si oppone al progetto di costruzione del cosiddetto “Kanal Istanbul”, ma soprattutto perché per avere la modifica costituzionale che gli permetta di superare il limite dei due mandati, non avendo i numeri in parlamento, ha bisogno di avere l’appoggio del partito curdo DEM e vuole sfruttare ogni minima crepa nell’alleanza tra i due partiti. Commentatori curdi ricordano che il CHP già dopo le amministrative avrebbe potuto chiedere le elezioni anticipate e difendere i sindaci curdi destituiti, lo fa solo ora perché colpito e perché teme che effettivamente il DEM potrebbe aiutare Erdoğan. Dal canto suo il leader del CHP Özel attacca il Erdoğan sul suo terreno definendolo un dittatore locale al servizio di Trump (e quindi di Israele). La ribalta internazionale è sempre stata spesa in patria dal presidente turco ma ora, anche se gli stessi critici del governo gli riconoscono un ruolo centrale,  complice il flop dei negoziati di Istanbul tra Russia e Ucraina e le preoccupazioni economiche, potrebbe non far presa sulla popolazione.  

Di fronte all’ulteriore regresso democratico il PE chiede di sospendere il processo adesione perché “l’importanza geopolitica della Turchia non deve poter compensare l’arretramento democratico del governo, e i criteri per l’adesione all’UE non sono negoziabili”. Non sono dello stesso avviso le altre istituzioni UE che lanciano la “The European Union's strategic approach to the Black Sea region” – JOIN(2025)135 la quale, naturalmente, implica “a coordinated approach with Türkiye, an EU partner of strategic importance and a candidate country” (per cui potrà avvalersi anche del SAFE). Quali gli scopi? I soliti: rafforzare sicurezza e stabilità (opporsi alla Russia), promuovere crescita sostenibile e prosperità, difendere l’ambiente. Mentre in Palestina si corre ancora dietro ad una impossibile soluzione a due stati a Cipro, la visita di Erdoğan nelle zone occupate della “unrecognised Turkish Republic of Northern Cyprus” spinge l’UE a ribadire l’appoggio ad una, improbabile,  nascita di uno stato federale.  

 

Aprile intervenendo alla plenaria del PE Costa ribadisce la necessità di far investire nell’UE i miliardi di risparmi delle famiglie europee e la convinzione che gli investimenti nel settore della difesa vadano a vantaggio anche delle industrie non del settore militare. Si sforza di presentare l'UE come un partner affidabile sempre dalla parte delle Nazioni Unite. Poi però l’Ungheria, non esegue il mandato di arresto della CPI nei confronti di Netanhyau in visita ad Orbàn. Anche sulle questioni legate alla difesa l’affidabilità europea scricchiola perché le questioni tecniche implicano “des visions politiques et des choix géopolitiques divergents au sujet du rôle de l’Europe dans le monde”. In primo luogo è da ridefinire il rapporto con gli USA, per l’AR Kallas (al Consiglio informale della difesa cui sono presenti solo 10 ministri)  “we are buying a lot from the Americans right now” quindi in futuro si dovrà, oltre che aumentare la capacità produttiva, diversificare gli acquisti. Trapela la voglia, come fatto per il gas con Putin, di allontanarsi da un alleato ritenuto inaffidabile. Tutto giusto però l’UE sembra trovare il suo partner più promettente nella Turchia per cui “face à la répression et à la crainte exprimée par les opposants d'une forte régression démocratique, les capitales européennes restent relativement discrètes”. Ankara è diventata non solo un attore ineliminabile in quasi tutte le crisi internazionali ma è anche una potenza militare in grado di sopperire ad un eventuale disimpegno americano in Europa. Nel corso degli anni la crescita dell'industria della difesa turca è dimostrata dagli accordi nell’UE e nei Balcani (con l’Italia in particolare c’è una nuova sintonia). É convinzione di alcuni analisti che “With a less engaged United States, a solid relationship between the EU and Turkey is now a sine qua non for stability in Europe”. L’UE dovrà inserire l’industria turca nel suo progetto di difesa chiarendo se e in quali “circumstances Turkish firms can be eligible to participate in new EU defence instruments, such as the SAFE regulation”. Non mancano però i contrasti, l’attivismo turco (e di Cina e Russia) nei Balcani mina un processo di allargamento sempre ai limiti dello stallo. Nell’ambito dello Strumento europeo l’UE adotta misure di sostegno ad alcuni eserciti della regione, ultimo quello macedone. Le visite di Costa e della Kallas in Albania e Bosnia al di là delle parole di circostanza confermano le preoccupazioni europee. Il Consiglio europeo difesa di fine mese presenta “una richiesta coordinata di attivazione della clausola di salvaguardia nazionale”. La clausola copre un periodo di quattro anni e un massimo dell'1,5% del PIL in flessibilità. L’Italia, per ora non ne richiede l’attivazione.

Si svolge a Samarcanda il primo European Union-Central Asia summit

Vengono pubblicate le Conclusioni del Consiglio sul controllo delle esportazioni di armi - 7534/1/25

Nel Consiglio europeo Affari esteri si discute dell’aggressione russa all’Ucraina e si ha uno scambio di opinioni sul Medio Oriente. Su questo punto si deplora la rottura del cessate il fuoco a Gaza, il numero delle vittime degli attacchi aerei (senza nominare chi li compie) e il rifiuto di Hamas di consegnare i rimanenti ostaggi. Si ricorda anche che l’accesso degli aiuti e la fornitura di energia elettrica a Gaza devono (da chi?) essere ripristinati immediatamente. È solo in conferenza stampa che l’AR Kallas si lascia sfuggire che le azioni israeliane vanno oltre una difesa proporzionata. Al termine del successivo EU-Palestine High-Level Political Dialogue ribadisce che l’UE è contraria alla politica di insediamento di Israele tanto da aver imposto sanzioni ai coloni estremisti. Ricorda che i 27 paesi dell'UE sono concordi nel sostenere la soluzione dei due Stati e che il meeting è pensato proprio per mettere la Palestina allo stesso livello di Israele. Alla fine però il bluff è smascherato, alla domanda “we have not seen any impact on the settler's violence against Palestinians”, la Kallas è costretta ad ammettere che “we do not have 27 Member States on board […] This is clear that if we deplore in words, then we should also follow in deeds, and it is hard with 27”. Per chi parla allora l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza? Quale può essere l’affidabilità UE alle istituzioni internazionali?  I comunicati stampa di condanna che valore possono avere? Il nuovo aiuto di 1,6 mld a cosa serve se viene dato ad una Autorità Palestinese, “senza consenso popolare né mandato elettivo”? Quale valenza può avere insistere sulla costruzione di uno Stato palestinese a guida AP quando “Abbas now emerges after more than 18 months of silence and complicity to insult his people” [nel tentativo] to justify the PA’s complete ineffectiveness and paralysis” se non una vera e propria complicità con Israele? Erdoğan interviene  anche in questo scontro e nel tentativo di consolidare il suo ruolo di attore chiave nella regione spinge Hamas ad “offrire concessioni accettabili agli Stati Uniti”. 

Muore Papa Francesco il primo pontefice del Sud Globale

L’obiettivo più ambizioso del presidente turco rimane però quello di mettere le mani sulla Siria. Fonti attendibili dicono che Ankara prenderà il controllo di una base militare siriana al fine di fornire una difesa aerea contro le incursioni israeliane. Tel Aviv reagisce immediatamente con attacchi mirati. La posta in gioco è l’ordine regionale e per alcuni analisti quelle con Israele sono solo scaramucce, “conditions are more propitious than ever for coordination between Turkey and Israel”. Il bombardamento israeliano delle basi militari in Siria serve gli interessi di Erdoğan, gli fornisce una narrativa che può usare ogni volta che vuole per accusare gli israeliani di prenderlo di mira per aver difeso i diritti dei palestinesi. “Never mind the fact that Turkish F-16s are periodically serviced in Israel based on ongoing contracts. This detail can be conveniently swept under the rug”. Erdoğan vuole controllare militarmente il Rojava ma l’accordo firmato tra i curdi e il nuovo governo siriano siglato a marzo potrebbe rovinare i suoi piani. L’accordo prevede che tutte le istituzioni civili e militari curde siano incorporate nella nuova amministrazione, che ci sia garanzia del ritorno di tutti i siriani sfollati nord-est della Siria e che le SDF sostengano il nuovo stato per combattere le minacce all’unità della Siria. Seppur di grande importanza l’accordo dovrà passare il vaglio della sua applicazione inserita nel contesto della dichiarazione costituzionale redatta nello stesso periodo di tempo. Non ci sono ricette pronte per delineare una costituzione che rispetti la realtà siriana ma quella appena promulgata sembra mantenere lo stesso assetto costituzionale di prima, solo con poteri presidenziali leggermente inferiori e, come dimostra l’esperienza irachena, nel lungo periodo non funziona. 

Nella nuova geografia del Medio Oriente “the Kurdish people are no longer the passive subject of this geography, but its active constituent power” può contribuire ad evitare il collasso della regione. È nel mezzo di questa complessa situazione che si inserisce l'appello di Öcalan del 27 febbraio. Suggerendo di riportare il conflitto sul piano giuridico e politico Öcalan offre una soluzione non armata del problema. La proposta rappresenta un'opportunità non solo per la Turchia, ma per tutti gli Stati del Medio Oriente alle prese con le proprie minoranze da gestire. Dopo 40 anni di guerra Ankara non solo ha lasciato irrisolta la questione curda ma ha anche aggravato la propria crisi interna sia politica che economica. Erdoğan è sempre stato abile a separare la politica regionale da quella interna (raramente una voce interna lo critica su questo punto) ma questa volta potrebbe non riuscirci. Ora anche per analisti vicini al presidente per Ankara è necessario risolvere la questione nazionale per poter gestire la questione regionale. Il processo è appena avviato le domande sono ancora molte ma devono avere una risposta ora. “The PKK disarmament project has presented Ankara with an opportunity in international balances that may never come again”. Anche la stretta contro l’opposizione non dà i frutti sperati. L’arresto di Imamoğlu sembra “une erreur d’appréciation, peu coutumière chez lui [Erdoğan] en matière de politique intérieure, qui laisse à penser à une réelle précipitation et à une perte de ses capteurs au sein la société turque”. La gioventù turca, che ha sempre visto l’AKP al potere, si mobilita esprimendo una forte voglia di cambiamento, il CHP cavalcando l’onda mantiene le primarie, aperte a tutti, per designare il suo candidato  alle presidenziali. Imamoğlu ha ottiene 15 milioni di voti quando il suo partito conta 1,5 milioni di iscritti, “l’objectif du président turc de saper les convergences politiques entre le CHP et le Parti de l’égalité et de la démocratie des peuples (DEM) semble à ce stade un échec”. A seguito di ulteriori arresti nel CHP il leader del partito, Özel, contestando le accuse chiede elezioni anticipate. L’arresto di Imamoğlu, come previsto, porta ulteriori problemi all'economia turca. 

 

Marzo a seguito del rifiuto di Hamas di accettare l’estensione, non prevista negli accordi, della prima fase del cessate il fuoco Israele blocca l’ingresso di ogni di aiuto umanitario nella striscia di Gaza. Per il governo turco la decisione mira a punire collettivamente il popolo palestinese. In Cisgiordania le forze di occupazione israeliane distruggono il campo di Jenin, i coloni aggrediscono in casa Hamdan Ballal, regista premio Oscar per "No Other Land". Il presidente UE Costa interviene alla riunione della Lega degli Stati arabi che presenta l’ennesimo piano di pace. Pochi giorni dopo Tel Aviv rompe la tregua. Mentre le indiscrezioni sul piano di deportazione della popolazione di Gaza si fanno più insistenti l’AR Kallas si reca in Israele tornando ancora una volta senza risultati. Riguardo alla Siria, dopo aver riportato l’ostilità israeliana al nuovo governo (resa manifesta dall’occupazione di un’ulteriore fetta di Golan e dall’appoggio alla minoranza drusa), conferma l’approccio passo dopo passo con un allentamento graduale delle sanzioni. Il nuovo governo e le FDS firmano un accordo che prevede l'integrazione nello Stato di tutte le istituzioni sotto l'amministrazione curda. Al termine della nona conferenza “A fianco della Siria: soddisfare le esigenze per il buon esito della transizione” viene rilasciata una dichiarazione.  Il PE pubblica lo studio “Europe’s policy options in the face of Trump’s global economic reordering” – PE 764.352. Spaventata dal disimpegno americano in Ucraina l’UE convoca un consiglio europeo straordinario – EUCO 6/25. Ribadendo i principi che “dovrebbero” essere rispettati per una pace giusta gli europei si trovano d’accordo nel sostegno a Kiev. Aumento della spesa militare a livello nazionale con finanziamenti anche privati, garanzia di prevedibilità per l’industria europea della difesa e riduzione dei costi attraverso appalti congiunti sono i principali risultati. Leggendo tra le righe sembra “farsi strada l’idea che l’Europa non possa scuotersi dal suo torpore se non si decide a riformare in profondità le sue istituzioni”. Al termine dei lavori Costa sottolinea la tempestività delle proposte. Nella sua relazione al PE il “senso di urgenza” stride con la constatazione che dalla dichiarazione di Versailles in cui si sono gettate “le basi delle decisioni adottate” siano passati tre anni. La frase “ci schieriamo a fianco dell'Ucraina insieme a molti partner” è il solo indizio che le decisioni non siano state prese all’unanimità.  Nella stessa occasione, la von der Leyen, nascondendosi dietro le parole di De Gasperi, ci informa che “this is the moment for peace through strength. This is the moment for a common defence” ma ci mostra il cammino verso una economia di guerra non quello verso un esercito unico. Poiché le risorse proprie della UE sono insufficienti e la maggior parte degli investimenti potrà provenire solo dagli Stati membri, sarà attivata la clausola di salvaguardia nazionale. A questo si aggiunge lo strumento SAFE (Security Action for Europe) che permetterà agli Stati membri di usufruire di prestiti da investire seguendo alcuni principi di base tra cui quello di finanziare acquisti dai produttori europei. Tutto viene fatto ai sensi dell'articolo 122 del Trattato UE che prevede una procedura di emergenza per i momenti in cui sorgono gravi difficoltà nella fornitura di determinati prodotti. Anche i fondi di coesione potrebbero essere impegnati a progetti legati alla difesa. Tautologicamente la necessità di nuove fabbriche creerà buoni posti di lavoro proprio qui in Europa.  Dalle parole di presentazione del Joint white paper for european defence readiness 2030 – JOIN(2025)120  dell’AR Kallas si evincono tre punti: gli Stati membri rimarranno al posto di guida; l’Europa lavora per la pace insieme a chi è convinto che la pace porti prosperità mentre “some look to destabilise others” (tra questi gli USA); lo strumento SAFE contrasterà la spesa militare russa. Il Commissario Kubilus di punti ne elenca quattro: aumentare la spesa per la difesa fino a raggiungere il 3,5% del PIL (l'1,5% sarà escluso dal calcolo del deficit); colmare le lacune pensando alle guerre di domani; aumentare il supporto all'Ucraina; superare la frammentazione favorendo appalti collaborativi che saranno favoriti dall’omnibus di semplificazione che verrà presentato a giugno. Nella conferenza stampa a fine lavori si ribadisce che la Commissione ha posto la difesa in cima all'agenda e che gli investimenti nel settore favoriranno il progresso tecnologico e la coesione sociale. In ogni caso ““Nothing in the White Paper nor in the ReArm Europe Plan/Readiness 2030 relates to the foundation of an EU army. This is not an objective of the European Commission”. Riarmare singoli stati molti con minoranze nemiche dell’Unione, senza la visione di un esercito comune è “un cieco atto di fede”. Ci saranno inoltre da monitorare i rischi di corruzione e di spreco che le procedure di urgenza favoriscono e fugare l’equivoco del “ritenere che la difesa sia diventata l’unica priorità della Ue”.  Viene pubblicata la Relazione congiunta… sull'attuazione del piano d'azione sulla mobilità militare 2.0 - (2025)11. Nelle conclusioni del Consiglio europeo – EUCO 1/25 si ribadiscono le posizioni già note sull’Ucraina e il Medio oriente. Per la migrazione si lavorerà su tre concetti: incoraggiare la dimensione esterna; prevenire la migrazione irregolare attraverso nuovi modi in linea con il diritto; riformulare i concetti di paesi terzi e paesi di origine sicuri.  A fine lavori Costa ammette che ci si è concentrati soprattutto sull’agenda economica, perché è alla base della prosperità dell'Europa. Vengono adottate decisioni per ridurre gli oneri burocratici superflui, rendere i prezzi dell'energia più accessibili e trasformare i risparmi delle famiglie europee in investimenti produttivi all’interno dei mercati dell'Unione.  La discussione sulla creazione di un nucleo militare europeo è ormai avviata tanto che il ministro egli esteri turco Fidan si sbilancia affermando che la Turchia vuole "essere parte della nuova architettura di sicurezza europea" ma l’Europa lo vuole? Per alcuni commentatori cercare l’appoggio turco nella difesa senza un reale processo di adesione è pura ipocrisia ma il doppiogiochismo europeo fa il paio con l‘inaffidabilità turca. Ankara da un lato arma l’ucraina dall’altro non applica sanzioni a Mosca, spinge per riallacciare i legami con i curdi ma continua a combatterli, parla di democrazia ma in meno di 6 mesi sono effettuati più di 50.000 arresti tra le forze di opposizione. Il più clamoroso, quello di Imamoğlu, è l’ennesima tappa di una strategia di accerchiamento delle opposizioni.

Dal carcere di Imrali Öcalan affida ad un gruppo di parlamentari DEM un messaggio in cui invita il PKK a sciogliersi e avviare il processo di pacificazione perorato da Bahçeli. Notoriamente uno dei peggiori nemici delle rivendicazioni curde. Fino a quando questo fantomatico processo di pace non prenderà corpo con atti concreti sia la dichiarazione di Öcalan che quelle del duo Bahçeli-Erdoğan sono parole vuote. Per ora i fatti dicono che il governo turco non smette di colpire gli eletti curdi, destituendo sindaci e arrestando esponenti politici e che i capi del PKK dovranno discutere la proposta tenendo conto anche delle ripercussioni in Siria e in Iraq. Un eventuale trasformazione del PKK in forza politica inoltre pone una serie di problemi che l’architettura costituzionale turca non può risolvere così come la presenza delle forze curde PYD/YPG (all’interno delle FDS) in Siria, soprattutto se saranno integrate nell’esercito siriano. Con Öcalan, è probabile, Bahçeli e “Erdoğan almost played a ‘good cop, bad cop’ routine” al fine di spingere il DEM a sostenere una nuova candidatura del presidente. Lettura non improbabile anche per il leader del İYİ Dervişoğlu che si oppone a quello che considera un patto per la presidenza a vita di Erdoğan. Il clima politico turco è, dalle amministrative del 2004 perse dall’AKP, ancor più orientato verso l’autocrazia. Il pretestuoso annullamento della laurea ad Imamoğlu, necessaria per partecipare alle elezioni presidenziali, e il successivo arresto con altri 90 esponenti del CHP provoca una forte reazione popolare, migliaia di persone scendono in piazza sfidando il divieto del governo. Nonostante le proteste europee ad una delegazione di parlamentari UE viene negato il premesso di visita. Le ripercussioni sul piano economico, la Borsa di Istanbul perde oltre l’8% in poche ore mentre la lira turca tocca nuovi record negativi, e la sensazione che il governo sia disposto a percorrere la strada della dittatura fino in fondo potrebbero, e sarebbe la prima volta, far saltare i piani di Erdoğan rafforzando la posizione di Imamoğlu quale elemento unificatore di tutta l’opposizione.

 

Febbraio entra in vigore la legge che mette al bando l’UNRWA in Israele. La UE protesta ma poi nel documento che ne illustra la posizione al Consiglio di Associazione UE-Israele - 6511/25 - reitera la condanna ad Hamas, all’Iran e agli Houti, deplora il gran numero di civili morti, conferma che Israele ha diritto di difendersi, ma non precisa che i “regional shift” conseguenza del 7 ottobre siano il frutto della guerra di sterminio israeliana. Nel documento non c’è nessuna minaccia di interrompere un accordo nel quale il “respect for human rights and democratic principles, […] constitutes an essential element”. Al contempo non si capisce come si possa rivitalizzare l’Autorità Palestinese compiacendosi dell’emanazione dell’“awaited decree-law”, volto a “ristrutturare” il sistema di previdenza sociale revocando il meccanismo del “prisoners and martyrs' payment”.  Rispondendo ai giornalisti al termine dei lavori l’AR Kallas continua a nascondersi dietro il fatto che il sostegno alla CPI e l’arresto di Netanyhau sono prerogativa degli stati membri. Così pare senza senso, al termine del contemporaneo Consiglio Affari esteri,  chiedersi se il diritto internazionale che protegge gli stati sovrani dall'aggressione di altri stati sia davvero in atto. Dal canto suo Trump (con l’amico Bibi) sta pianificando di occupare la striscia espellendone i palestinesi per poi trasformarla in un resort. Quanto ci sia di vero e/o di fattibile in tutto questo sarà da vedere. È vero che “les voix favorables à la paix se font de plus en plus rares en Israël, préférant souvent l’exil ou la discrétion face à l’extrême droite au pouvoir” ma è anche vero che Hamas dopo 15 mesi di guerra ancora non è stato sradicato. Inoltre “l’investimento immobiliare “non può essere fatto senza i soldi degli Emirati e soprattutto dell’Arabia Saudita” che, dopo la caduta del fronte scita, si è trovata nella condizione di rivendicare una sorta leadership regionale che gli permette di opporsi all’idea di cacciare i palestinesi. Quelle che rimangono, già prima dell’illusorio ordine statunitense, sono le macerie del diritto internazionale, costruito dall’occidente e abbandonato quando non più confacente ai propri interessi. “It is time to move the UN and international law out of the West” al fine di preservare le normali funzioni del diritto internazionale in un mondo, anche economicamente, in mutamento. Invece di coltivare i valori gli europei spaventati, forse troppo, dalle minacce di Trump si incontrano (compreso il primo ministro inglese Starmer) in un consiglio informale dedicato esclusivamente alla difesa. Incontro “extremely important, because we are in the situation where we are”. A fine lavori Costa conferma che bisogna aumentare la produzione di armi anche se la spesa per la difesa è già aumentata del 30% tra il 2021 e il 2024. Per quanto riguarda i rapporti con gli USA sottolinea che tra amici le divergenze di opinioni vanno affrontate per trovare soluzioni che non compromettano gli interessi europei. Non si tratta più di decidere se agire, ma di come farlo quindi… si attende il prossimo Libro bianco dedicato all’argomento. Mentre il mondo occidentale fa a gara per delegittimare gli organismi internazionali l’AR Kallas si vanta dei passi compiuti verso la creazione di un tribunale speciale dedicato all’aggressione Russa all’Ucraina. Al suo arrivo alla Conferenza di Monaco si trincera dietro la tautologia che “no peace deal will work without us”. Per il resto spera che l’UE resti unita con gli americani perché Iran, Russia, Corea del Nord e Cina (un altro e più ampio “impero del male” di reganiana memoria?) si stanno alleando contro di noi. Più pertinente Costa: solo l'Ucraina può definire quando ci siano le condizioni per i negoziati. Presumere concessioni prima di qualsiasi negoziato è un errore. Una dichiarazione congiunta nel terzo anniversario dell’invasione e una di Costa al summit internazionale di supporto all’Ucraina ribadiscono la posizione UE. I contatti tra Trump e Putin sono motivo di preoccupazione non solo per l’Ucraina (in mondo visione l’arroganza da bullo di Trump nei confronti di Zelensky), ma anche per l’Europa, pressata dai dazi e tenuta fuori dai colloqui di Ryad, per alcuni una nuova Yalta che mira a ridefinire “the balance of power, establish clear spheres of influence, and ensure that major powers do not encroach on each other’s strategic interests”. La nascita della DG MENA è un flebile tentativo da parte europea di riconquistare posizioni nel Mediterraneo. Mentre russi e americani si incontrano a Ryad Zelensky va da Erdoğan che firmando accordi simbolici di cooperazione dimostra di rimanere un attore rilevante sulla scena internazionale. Soprattutto in Siria dove, sospese  le sanzioni internazionali in alcuni settori economici chiave, il processo di riconciliazione è tutto da definire e messo a dura prova dalle pressioni e ambizioni israeliane e turche. Sarà Ankara a ricostruire l’apparato militare siriano al contempo cercando di plasmare la “Syria’s future governance, not just in terms of stability but also in moulding a system that reflects its own political ethos”. 

Le azioni turche in Siria e la pressione su sindaci e personalità dell’opposizione (DEM e CHP) è al centro di una comunicazione al PE. In pochi giorni infatti vengono arrestate circa 300 persone, tra cui rappresentati del DEM, con l’accusa di appartenere al PKK, e con il pretesto che il PKK si sia infiltrato nei governi locali guidati dal CHP anche alcuni membri del municipio di Istanbul. “Once again, Istanbul Metropolitan Mayor Ekrem İmamoğlu appeared to be the real target”. Il gioco è contraddittorio. Da un lato, nel tentativo di convincere il PKK a disarmarsi, la politica facilita gli incontri tra i rappresentanti DEM e Öcalan, dall'altro la magistratura criminalizza l'accordo tra DEM e CHP nelle elezioni locali del 2024. Dopo averle perse Erdoğan ha mobilitato “all state resources—both official and unofficial—to prevent İmamoğlu from becoming a candidate” alle prossime elezioni presidenziali alle quali, forzando la costituzione, il presidente turco vuole candidarsi. Questo livello di assedio politico non ha precedenti nel panorama politico della Turchia, le sfide legali restingono la sua azione politica e favoriscono i dissensi interni al partito anche se il sindaco di Ankara Yavaş dichiara che “no one should underestimate the solidarity among CHP mayors and parliamentarians,”. L’attacco a chi non conosce il ‘proprio posto’ non risparmia il presidente della TÜSİAD (l’Associazione dell'industria e delle imprese turche di stampo secolarista), Turan, e quello del consiglio direttivo Aras. Sono accusati di aver diffuso false informazioni al fine di creare ansia e paura tra la popolazione, “They’re practically being accused of espionage merely for articulating some of Türkiye’s current challenges from their perspective”. Sebbene questa questione riguardi chiaramente la democrazia e lo stato di diritto, l'indagine sulla TÜSİAD comporta inevitabilmente implicazioni economiche che coinvolgono il ministro del tesoro Şimşek in quanto garante della stabilità del panorama economico turco (tensioni geopolitiche e conflitti in merito alla futura divisione ricavi fanno saltare l’accordo tra EAU e Turchia per l’ampliamento del porto di Smirne). Democrazia e stato di diritto riguardano anche il colossale affare della ricostruzione post terremoto del 2003. Molti abitanti dei villaggi rurali sono stati espropriati delle loro terre e qualche volta anche delle case riempendo “les poches des magnats de l’immobilier proches d’Erdogan”.

Gennaio nel silenzio generale cadono i 30 anni del Processo di Barcellona. Viene finalmente siglato un accordo di cessate il fuoco tra Hamas e Israele. L’accordo prevede tre fasi durante le quali saranno scambiati gli ostaggi israeliani con detenuti palestinesi. L’AR Kallas si congratula con Stati Uniti, Egitto e Qatar. Nel comunicato stampa però si continua glissare sul nome diIsraele che, dopo il massacro del 7 ottobre da parte di Hamas, ha perpetrato le violenze che hanno colpito “centinaia di migliaia di civili innocenti”. Il cessate il fuoco dovrebbe portare allo status quo precedente la guerra ma questo difficilmente sarà possibile. Israele non ha raggiunto l’obiettivo di eliminare Hamas e il ritorno della popolazione nel nord della striscia, “the first time since 1948 that Palestinians had been able to go back home”, “spells defeat for Israel”. Rimane perciò più un equilibrioprecario che un reale progresso verso la pace.  Temendo l’evolversi della situazione in Siria, Tel Aviv per precauzione “expanded its occupation of Syrian land in the south of the country, expelling hundreds of Syrians from their homes” e per contrastare l’alleanza Turchia-Siria, che potrebbe creare un fronte sunnita radicale (non meno pericoloso di quello scita) si propone come difensore della minoranza curda. È il classico comportamento di un’autorità coloniale, aiutare una “disadvantaged minority in a subjugated region to either foster long-term generational divisions or to counter a rival power – a strategy that does, tragically, exploit the real grievances of those groups”. Rispondendo alle domande dei giornalisti l’AR Kallas pur consapevole che l’azione UE dovrà adattarsi ai nuovi metodi di lavoro dell’amministrazione USA conferma l’appoggio alla soluzione dei due stati in Palestina mentre per la Siria attende di vedere il nuovo governo all’opera. Intanto vengono stanziati 235mln in aiuti umanitari. Anche in Libano la situazione si sblocca. Dopo più di due anni viene eletto come presidente il cristiano maronita, e capo delle forze armate, Joseph Aoun che ha dovuto attendere l’esito di una triplice negoziazione: intra-cristiana, intra-libanese (con la quale ha ottenuto il via libera di Hezbollah) e internazionale (tra gli attori della regione). Come primo ministro è stato nominato Nawaf Salam, ex  presidente della Corte di giustizia internazionale. Nella soddisfazione generale alcuni commentatori però fanno notare che l’elezione è stata conclusa aggirando la costituzione e che i parlamentari “were forced to submit to the orders of the US and Saudi Arabia”. Lo svolgimento dell’elezione denota due cose: che Hezbollah seppure molto indebolito militarmente ha ancora voce nel panorama politico libanese e che, per la prima volta in trent'anni, il presidente del Libano è stato scelto “from outside the Syrian-Iranian factory, returning once again to the Saudi fold”. Per aiutare la transizione il Consiglio adotta una terza misura di assistenza di 60mln a favore delle Forze armate libanesi (LAF). Anche con la Giordania viene firmata una partnership. Nel suo primo discorso al PE Costa ribadisce il sostegno europeo all'Ucraina con tutti i mezzi necessari e la volontà di proseguire nell'allargamento. Per Costa il ruolo dell'Europa nel mondo è quello di difendere i principi del diritto internazionale. Nel contempo però è necessario investire nella difesa per costruire una rete sicura di catene di approvvigionamento, per avere autonomia energetica e un'industria innovativa. “Difesa e competitività vanno di pari passo”. I rapporti con la nuova amministrazione USA saranno improntati ad una equa cooperazione economica che protegga gli interessi europei. Postilla necessaria visto il silenzio delle istituzioni comunitarie riguardo le minacce di Trump. Vengono pubblicate la quinta  Relazione…sui progressi compiuti nell'Unione europea nella lotta alla tratta di esseri umani  - Com(2025)8 e l’Ottava relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia - Com(2024)593. Complessivamente lo strumento continua a funzionare bene anche se gli arrivi irregolari in Grecia sono aumentati. Nel gennaio 2024 il suolo turco ospitava 3.199.927 siriani e altri 300.000 profughi. A fronte di questi numeri tra aprile 2016 e gennaio 2024 sono stati reinsediati nell'UE dalla Turchia quasi 41.000 rifugiati siriani. La necessità di riavviare il dialogo UE-Turchia, gli sviluppi in Siria, Gaza e Ucraina sono al centro dell’incontro tra Kallas e Fidan il quale spera che le relazioni con l’UE tornino quelle dell’era pre-Sarkozy. Il ministro turco annunciando di aver aperto alla possibilità di tenere un vertice nel 2025 pensa che l’Europa invece di concentrarsi su piani a breve termine per il rimpatrio dei rifugiati, dovrebbe dare priorità al sostegno alla Turchia nell'aiutare la ricostruzione della Siria. Uno degli obiettivi di Ankara è infatti quello di favorire il ritorno dei rifugiati siriani in patria ai quali, per questo motivo, viene consentito eccezionalmente di andare a verificare le condizioni delle abitazioni in Siria e di rientrare poi in Turchia. Dopo aver favorito la caduta di Assad, Ankara mira a influenzare la transizione siriana per rafforzare la sua posizione nel Mediterraneo. La vicinanza al nuovo governo siriano potrebbe portare anche ad un accordo sui confini marittimi che includerebbe anche la RTCN. Ciò contrasterà le richieste massimaliste dell'amministrazione greco-cipriota, spianerà la strada al riconoscimento della RTCN da parte della Siria e favorirà lo sfruttamento delle risorse di gas e petrolio. L’azione di Ankara però è pensata principalmente in chiave anti-curda. Per diminuire le tensioni i curdi propongono il dispiegamento di forze USA e francesi lungo il confine turco-siriano ma Fidan respinge la proposta. In Turchia invece, dopo gli incontri tra la delegazione DEM e Öcalan si prospetta la possibilità di una ripresa del processo di pace tra lo stato e il Pkk. La riconciliazione con la componente curda della popolazione (15%-20% del totale) potrebbe consentire a Erdoğan di riguadagnare consensi presso questo bacino elettorale e avere il supporto del DEM per raggiungere la maggioranza necessaria a portare avanti la riforma della Costituzione al fine abolire il limite dei due mandati presidenziali per, secondo alcuni, rimanere presidente a vita. Per il raggiungimento di questo obiettivo Erdoğan ha come opzioni o massicce defezioni di parlamentari dai partiti di destra o il raggiungimento di un accordo con il DEM. Il tentativo passa anche attraverso una pressione costante sugli eletti del CHP costretti a difendersi nei tribunali. Sia il leader del CHP Özel che il sindaco di Istanbul İmamoğlu riconoscono che queste cause legali mirano a indebolirli politicamente. Il processo di riconciliazione è ancora avvolto da molti punti oscuri, sarebbe necessario che ci fosse una chiara comunicazione pubblica su ciò che sta accadendo e su quali siano i veri obiettivi di ciascuna parte. Erdoğan nella sua apertura di fatto chiede al PKK di sciogliere l'organizzazione, l’alternativa proposta ai membri del PKK è quella di essere seppelliti con le armi ed effettivamente tutti gli indicatori suggeriscono che la Turchia stia schierando la sua piena potenza militare contro le forze del PKK nei paesi limitrofi. Il PKK dal canto suo soppesa diversi fattori: l'opposizione del leader siriano Ahmed el-Shara ad uno stato federale, le implicazioni del mantenimento o ritiro delle forze USA in Siria, l’offerta da parte israeliana della protezione dei diritti curdi. Un altro grande problema interno è il ruolo di Demirtaş, una parte significativa della popolazione curda ritiene che sia stato trattato ingiustamente (anche dallo stesso DEM) e vuole sentire il suo punto di vista. Dal momento in cui il portavoce dell'AKP dichiara terminato "Il traffico di visite” si attende la risposta di Öcalan alle richieste governative. Da parte sua il PKK sembra aver legato esplicitamente qualsiasi progresso in Turchia agli sviluppi nel Rojava. La preoccupazione di Ankara è che più a lungo persisterà la situazione di stallo, più radicata diventerà l'istituzionalizzazione del PKK in Siria. Le parti interessate stanno aspettando anche l’incontro tra Erdoğan e Trump “and whether the emerging situation will culminate in a storm”. Nel mentre si mettono tacere preventivamente potenziali voci di dissenso, come testimoniano le crescenti indagini che prendono di mira i giornalisti e politici al fine di “to minimize dissenting voices on the “home front” as the storm approaches”

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